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L’irresistibile attrazione del potere (normativo): una (para-)norma è per sempre!

di Attilio Luigi Maria Toscano
Professore aggregato di Istituzioni di diritto pubblico
Università degli studi di Catania

Ciò che, in questi mesi, ha colpito l’attenzione pubblica sono state le intercettazioni di un magistrato, in passato componente del C.S.M. ed ancor prima segretario generale e presidente dell’A.N.M. (l’“associazione di categoria” che raccoglie il 91,2% dei magistrati ordinari), sotto indagine per essere stato ritenuto dai pubblici ministeri di Perugia oggetto e soggetto attivo di influenze e/o pressioni nelle procedure di nomina ad alti incarichi magistratuali e soggetto attivo di accordi tra le correnti (le associazioni tra magistrati), nell’ambito della loro attività nel C.S.M., per il conseguimento delle stesse nomine.

Accordi che, in quanto atti almeno bilaterali,  si concludevano  presumibilmente tra il magistrato “esponente di spicco” di una corrente e i magistrati di pari rango delle altre correnti (attualmente siedono al C.S.M. quattro gruppi correntizi e nessuna corrente dispone della maggioranza assoluta dei voti validi).

Quando ci si imbatte nelle discussioni della dottrina costituzionalistica e delle decisioni della Corte costituzionale, della Corte di cassazione, dei Giudici amministrativi ed finanche della Corte europea dei diritti dell’uomo, sul Consiglio superiore della magistratura, spesso ci si imbatte in una frazione di mondo giuridico complessa, difficile da comprendere realmente, dove i principi costituzionali di autonomia e di indipendenza della magistratura da ogni altro potere sono strumentalmente sublimati ad un tal punto da fare apparire ogni ipotesi di intervento legislativo e/o di vera e propria riforma dell’ordinamento giudiziario un “attentato alla Costituzione”.

Nel Consiglio dei Ministri conclusosi nella notte dell’8 agosto 2020, è stato approvato un disegno di legge delega di riforma anche della costituzione e del funzionamento del C.S.M. che ha già suscitato dure prese di posizione di una corrente (Area) e dell’A.N.M., pur non essendone ancora disponibile il testo.

Si potrebbe iniziare col dire che il potere giudiziario è uno dei tre poteri dello Stato (“frazione” del potere sovrano che appartiene al popolo), è un potere che esercita chi supera un concorso pubblico e diventa così giudice, un particolare “impiegato” del Ministero della giustizia.

Il potere giurisdizionale (quello di ius dicere, da cui iurisdictio, che è il potere di “interpretare” e di “applicare” le disposizioni generali ed astratte ai casi concreti) non ha un unico organo che lo esercita, ma lo esercitano tutti i magistrati-giudici ed in questo senso è un potere diffuso, finalizzato alla tutela dei diritti e degli interessi individuali.

La magistratura è l’insieme dei giudici e dei pubblici ministeri che la Costituzione si guarda bene dal definire però “potere” e la appella, quasi con carattere sacrale, “ordine”, l’ordine magistratuale o giudiziario, che è “autonomo ed indipendente da ogni altro potere”. In un altro caso, viene utilizzato, nella Carta costituzionale, il termine “ordine”: nei rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica che sono “ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”.

L’ordine della Chiesa cattolica, tanto per continuare con l’improbabile accostamento, è esterno a quello statale e “sovrano”. L’ordine dei magistrati è interno allo Stato, perché pur se indipendente dal potere legislativo e da quello esecutivo, è soltanto “autonomo”. L’autonomia non è, a nostro avviso, un doppione dell’indipendenza, ma indica che quest’ordine “dipende” da qualcosa ed ha un “limite”, un “vincolo” in qualcosa.

Nella legge esclusiva dello Stato (legge, decreti legislativi e decreti-legge), a cui “soltanto” i giudici sono soggetti.

Quindi i giudici esercitano il potere giurisdizionale, sono nel loro insieme un ordine autonomo dello Stato, sono indipendenti dagli altri poteri, ma “dipendono” e sono “limitati” dalla (e “vincolati” alla) legge, il che sta anche a significare che sono indipendenti da tutto il resto (dagli altri poteri ed anche dagli altri giudici e dal Consiglio superiore della magistratura, strutturalmente, e dalle decisioni degli altri giudici, funzionalmente).

Sono, se si vuole, bis o tris-indipendenti.

Che i giudici siano soggetti “soltanto alla legge” potrebbe significare, allo stesso tempo, tutto o niente.

Niente, perché tutti i soggetti dell’ordinamento giuridico unitario repubblicano sono soggetti alla legge (intesa nel senso ampio dell’insieme delle norme giuridiche dello Stato e di quelle che comunque si applicano nello Stato: norme internazionali ed euro-unitarie) e niente perché è ovvio che il quid proprium del potere giudiziario sia quello di “interpretare” e di “applicare” la legge (intesa in senso ampio, sempre).

Tutto, perché la riaffermazione di una soggezione, all’apparenza ovvia, può volere dire che i giudici non possono produrre essi stessi, da soli, la “legge” a cui soltanto sono soggetti, perché se avessero questo potere creativo, alle estreme conseguenze del ragionamento, potrebbe non esserci soggezione, e dunque dipendenza o limite o vincolo in alcunché, e non sarebbero più soltanto un ordine autonomo, ma un vero e proprio ordine sovrano (come la Chiesa cattolica), in grado anche di “legiferare”, con pericolo (che preoccupava già gli stessi Costituenti) di “separatezza” ed “isolazionismo” dall’ordinamento giuridico unitario repubblicano, ma anche con pericolo per il principio della sovranità popolare, per quello democratico e per quello dell’unità della Repubblica.

Perché la legge esclusiva dello Stato (leggi, decreti legislativi e decreti-legge) è quella che deve regolare per constitutionem l’ordinamento giudiziario e la giurisdizione tutta. Ciò significa che tramite la legge esclusiva dello Stato, che indirettamente esprime la volontà popolare, tramite organi certamente rappresentativi, si garantisce la democraticità e l’unità dell’ordinamento giuridico repubblicano ed in definitiva la sovranità popolare.

Una delle più grandi preoccupazioni espresse di Costituenti, come già detto, era quella della possibilità che l’ordine magistratuale, costituzionalmente configurato come autonomo dallo (non sovrano rispetto allo) Stato, ma concretamente sganciato da ogni controllo dello Stato, potesse sfuggire allo Stato, diventando “casta” o “mandarinato” (ossia, una casta di funzionari altamente qualificati).

Non voglio parlare dell’effetto del correntismo e delle correnti sulla magistratura o sul C.S.M., e dunque di associazioni di magistrati fondate su una propria visione dei principi e dei valori dell’autonomia e dell’indipendenza, tali da avere molte analogie, almeno all’apparenza, con i partiti politici o con le lobbies e con i loro metodi, in grado di influenzare le principali decisioni del C.S.M., a mezzo di accordi o di contrapposizioni, che recentemente hanno disvelato degenerazioni sistemiche, non note soltanto ai non esperti.

Dirò qui solo, brevemente, che se la Corte costituzionale ha ripudiato anche i “metodi” della politica, ritenendo legittimo il divieto dei magistrati di soltanto partecipare ad attività dei partiti politici (Corte cost., sentenza 8 luglio-17 luglio 2009, n. 224), laddove si ritenesse che “metodi” analoghi siano concretamente quelli utilizzati nelle attività delle correnti all’interno del C.S.M., la libertà di associazione stessa dei magistrati in correnti potrebbe essere ragionevolmente soppressa in chiave costituzionalmente orientata o potrebbe, in via gradata, imporsi razionalmente per legge, un principio di separazione tra l’attività correntizia e quella dell’amministrazione della “vita” dei magistrati,  attraverso l’incandidabilità al C.S.M. dei magistrati associati ad una corrente o che con esse abbiano rapporti continuativi, quantomeno prima che sia decorso un adeguato periodo (c.d. di raffreddamento) dal recesso da dette associazioni e dall’interruzione di qualsiasi rapporto continuativo; congiuntamente al divieto per le correnti stesse di formare, anche indirettamente, liste di candidati al C.S.M.

Non trascuro che il sorteggio dei magistrati al C.S.M. avrebbe un solido fondamento costituzionale nella disposizione che istituisce una comunità tra pari che si distingue solo per funzioni, come messo in evidenza da uno dei pochi costituzionalisti che ne propone l’adozione, ma penso che al sorteggio si possa arrivare solo con revisione dell’art. 104 Cost., il che allo stato dell’arte della politica contemporanea è impensabile.

Mi voglio occupare, come detto nel titolo, dell’irresistibile attrazione del potere (normativo).

Si diceva che i giudici non possono “creare” essi stessi la “legge” a cui soltanto sono soggetti.

Non mi riferisco al fatto che i giudici quando, come si dice, “applicano” la legge ad un caso concreto, interpretano disposizioni (testi scritti), enucleandone le norme e poi le applicano al caso concreto, che è esso stesso enucleazione comunque di un fatto o di una serie di fatti, ponendo in essere molteplici “creazioni”, difficilmente controllabili, anche perché appartenenti alla sfera della coscienza e della scienza individuale: la creazione della norma e quella del caso da “sussumere” (come si fissa a dire un mio amico penalista, sembra che i penalisti amino questo verbo!) nella norma, ed in definitiva quella della “legge del caso concreto”, che è la decisione. Il che possibilmente è potere creativo ineliminabile ed incontrollabile.

Mi riferisco ad altro, alle attribuzioni (anche dette competenze) costituzionali del C.S.M.

Nonostante i magistrati siano impiegati del Ministero della giustizia, della loro “vita da magistrati” decide un organo, proprio il C.S.M., voluto dalla Costituzione per occuparsene in pieno, fino agli aspetti disciplinari.

Questo organo suscita le più elevate discussioni giuridiche.

È stato ritenuto, alternativamente, organo di autogoverno, di governo (dell’amministrazione della giustizia), di vertice (organizzatorio) o di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura. Organo costituzionale (necessario ed indefettibile, pena il “crollo” della forma di governo parlamentare o addirittura della forma di Stato liberal-democratico, pluralista e sociale) o di rilievo costituzionale (le cui attribuzioni sono modificabili o sopprimibili, ma con legge di revisione costituzionale) o di alta amministrazione o semplicemente amministrativo (gestionale). Organo supremo in posizione di parità con le Camere, il Governo, il Presidente della Repubblica, la Corte costituzionale. Organo di indirizzo politico al pari delle Camere e del Governo.

Questioni appassionanti e certamente non degne di questo breve scritto.

Possiamo però osservare che, al di là delle questioni definitorie, il C.S.M., sembra essere semplicemente un organo tecnico poiché i suoi membri, ad eccezione del Presidente della Repubblica, sono tutti “tecnici del diritto”, magistrati, avvocati e professori in materie giuridiche. Né le principali attribuzioni amministrative spettanti al C.S.M. sembrano esondare, di molto, da attività valutative tecniche (si pensi alle valutazioni di professionalità o ai concorsi pubblici per titoli per il conferimento di funzioni direttive o semidirettive), spesso autolimitate (si pensi al c.d. testo unico sulla dirigenza giudiziaria, che altro non è che atto amministrativo generale di autolimitazione, secondo la Giustizia amministrativa), o da meri accertamenti tecnici (la nomina dei magistrati ordinari che hanno superato il concorso).

Il problema è che il C.S.M., che possiamo concordare tutti amministri la vita funzionale di tutti i magistrati ordinari, organo che si compone, nei fatti, di correnti (come il Parlamento si compone di partiti), si è messo anche a dettare “legge”, per lo meno, dal 1978, avviandosi così un altro importante tema che è quello dei poteri “normativi” del C.S.M. (o meglio “para-normativi”, come auto-definiti sul sito del C.S.M., www.csm.it).

La legge parlamentare che ha istituito l’organo previsto dalla Costituzione è del 1958, e questa ha stabilito che il C.S.M. abbia il potere di adottare un proprio regolamento (si noti) interno di funzionamento, uno di contabilità ed uno sul personale.

Nelle varie versioni del regolamento interno sul proprio funzionamento, a partire dal 1978, il C.S.M. si è auto-attribuito il potere di adottare risoluzioni, circolari e direttive con pretesi effetti esterni quantomeno sui magistrati e in materia di amministrazione della giustizia, costituendo così, dal nulla, un suo potere (para-)normativo, che non sta scritto in nessuna disposizione autorizzatoria costituzionale e di legge, ma in maniera ambigua in una disposizione regolamentare interna, per questo è potere auto-attribuito.

Un regolamento interno sul funzionamento del C.S.M. autorizza il C.S.M. a produrre (para-)norme esterne, con efficacia sui magistrati. Il che è una contraddizione intrinseca, a tacer d’altro. Può trattarsi, al più, di mere autolimitazioni riduttive della discrezionalità, come le qualifica generalmente la Giustizia amministrativa, di cui ogni organo che svolge funzioni oggettivamente amministrative può fare uso.

Le (para-)norme vengono prodotte dal C.S.M. da decenni e per decenni le Camere (ed anche il Governo), che avevano ed hanno il potere di contrastare questo fenomeno (o normando esse stesse o sollevando conflitto di attribuzioni), non hanno invece fatto nulla!

Risoluzioni, circolari e direttive, possono interpretare, ma soprattutto integrare la legge, o coprire gli spazi lasciati vuoti della legge (che sono molti), e proprio per questo sono fenomeni che creano materialmente “leggi”, norme a contenuto generale ed astratto con effetti innovativi esterni.

Come già detto, la più famosa circolare del C.S.M. è quella sull’attribuzione degli incarichi direttivi e semi-direttivi dei magistrati (il c.d. testo unico sulla dirigenza giudiziaria), strumento di valutazione di merito ed attitudini dei magistrati, in un guazzabuglio di disposizioni, difficilmente comprensibili ai non esperti, che, sostanzialmente, tramutano valutazioni tecniche sulla scelta del miglior candidato in provvedimenti ad alto contenuto discrezionale del C.S.M. (e delle correnti), in un’ottica in cui, in genere, a tali incarichi concorrono magistrati dal profilo eccellente (anche perché frutto di sostanziale auto-valutazione).

Ora, la legge è un atto politico espressione della funzione di indirizzo politico, che consiste nelle scelte (libere ed insindacabili) dei fini che si vogliono perseguire, nei limiti della Costituzione. Questi fini li seleziona chi ha il potere di legiferare (in Italia, il Parlamento, con la legge, ed il Governo, con decreti-legge e decreti legislativi).

Se dunque al C.S.M. è stato implicitamente concesso (per inattività delle Camere e del Governo) il potere materiale di “legiferare”, con atti che, comunque denominati, sono atti che quantomeno “tengono luogo” della legge, il C.S.M. ha acquistato, col potere para-normativo, anche il potere politico, espressione della funzione di indirizzo politico, tanto più ampio quanto più ampia è stata, è e sarà la rinuncia delle Camere e del Governo a non contrastare questo fenomeno, come avvenuto per più di quarant’anni.

Per questa via, la soggezione soltanto alla legge dei giudici è diventata anche soggezione a qualcos’altro, alle (para-)norme di un organo il C.S.M., parzialmente rappresentativo dei giudici (che lo compongono elettivamente per 2/3, formandone una maggioranza precostituita).

E dunque i magistrati finiscono per essere “governati” anche o soprattutto dal C.S.M., che in maggioranza si compone di magistrati. E l’ordine giudiziario tende, così e sempre più, ad isolarsi ed a separarsi dell’ordinamento giuridico unitario della Repubblica.

Ora, occorre rendersi conto, anche se è difficile pensarlo in questo momento storico, che i problemi della magistratura non sono soltanto la separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici, per assicurare maggiore terzietà a questi ultimi (ma dove sta scritto nella Costituzione che i pubblici ministeri debbano essere magistrati anch’essi, riprendendo Cordero); né soltanto le sliding doors tra magistratura ed incarichi politici (che certamente minano l’apparenza di indipendenza e di imparzialità che la magistratura deve avere); né soltanto il correntismo in sé; ma a monte vi è la tendenza, incontrastata da più di quarant’anni, del C.S.M. a divenire organo “politico legiferante”, sottratto, almeno in parte, alla legge esclusiva dello Stato, ciò che non ci sembra compatibile con la necessaria soggezione del C.S.M. e della magistratura alla legge, quale espressione mediata della sovranità popolare (che spetta alle Camere approvare), e dunque del principio di democraticità e di unità dell’ordinamento giuridico generale dello Stato.

Le Camere ed il Governo potrebbero e dovrebbero osare di più, entrando più nel vivo delle materie a loro spettanti dell’ordinamento giudiziario e della giurisdizione, così come previsto dalla Costituzione, ed in tal senso muove, almeno in teoria, l’annunciato d.d.l. agostano del Governo, laddove pare preveda la “revisione dell’assetto ordinamentale della magistratura, con specifico riferimento alla necessità di rimodulare, secondo principi di trasparenza e di valorizzazione del merito, i criteri di assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi e di ridefinire, sulla base dei medesimi principi, i criteri di accesso alle funzioni di consigliere di cassazione e di sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione, nonché di garantire un contenuto minimo nella formazione del progetto organizzativo dell’ufficio del pubblico ministero e di prevederne l’approvazione da parte del Consiglio superiore della magistratura”.

Si tratterebbe di un primo passo verso una, a nostro avviso, necessaria “razionalizzazione” del potere para-normativo ed un ridimensionamento dell’alta discrezionalità nelle nomine, che occorrerà vedere in seguito come si concretizzerà a livello primario e quali spazi lascerà alla (o di quali spazi si approprierà la) “para-normativa” del C.S.M.

Nessun vulnus costituzionale mi sembra che possa sussistere nella considerazione che non sia il C.S.M. a dovere svolgere una funzione di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, tramite le sue “para-norme”, perché questa spetta alla Corte costituzionale, laddove i detti principi possano essere irragionevolmente e non bilanciatamente “compressi” da una legge dello Stato; il C.S.M., nella struttura (2/3 togati ed 1/3 laici) e con le attribuzioni (essenzialmente amministrative) ad esso assegnate, è al più garanzia (sostituibile con analoga garanzia per il tramite di revisione costituzionale) che le funzioni (precipuamente amministrative) di sua competenza siano finalizzate esclusivamente agli interessi generali che la Costituzione gli assegna ed allo stesso tempo ai principi più generali di democraticità e di unitarietà dell’ordinamento giuridico generale.

Ad oggi sembra soltanto che, come un diamante, una (para-)norma è per sempre!

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